Ci sono, nella storia dell’enologia italiana del XX secolo, alcuni personaggi - invero pochi - che hanno impresso, grazie alla loro carica visionaria, una ‘svolta’: un discrimine fra un prima e un poi che ha modificato sostanzialmente il modo di intendere e interpretare un vitigno, piuttosto che un terroir. Nonché poi mutato - grazie a studi, sperimentazioni e prove ‘sul campo’ - le conoscenze e sin anche le abitudini di coloro che il vino amano e bevono.
In Alto Adige il nome è uno solo, riconosciuto da tutti per l’importanza assoluta del suo lavoro, in un impegno pluridecennale teso a creare una ‘nuova’ anima a vini che, allora, tutti ritenevano di scarso valore e di altrettanta scarsa potenzialità. Fu Sebastian Stocker, mastro cantiniere della Cantina di Terlano dal 1955 al 1993, a comprendere come dietro i bianchi altoatesini, allora scialbi e acidi, si celasse inespressa una grande stoffa. Capì, grazie alla conoscenza degli eccellenti vini austriaci e tedeschi ma anche borgognoni, come l’anima di quei vini a base di Pinot Bianco, Sauvignon e Chardonnay (ma anche dei più ‘facili’ Gruner Veltliner e Sylvaner) rimanesse ‘uccisa’ da pratiche di cantina del tutto scorrette, finalizzate a produrre, nell’arco di pochi mesi dalla vendemmia, vini di pronta beva.
Non fu, quella di Stocker, una banale ‘intuizione’ - quasi legata al caso - come in tanti hanno scritto. Fu piuttosto una lunga opera di meditazione e lavoro portata avanti con caparbietà, attraverso lo studio dei singoli vigneti e delle loro potenzialità. Nonché dei processi di cantina, tesi a esaltare la longevità e la complessità aromatica grazie a lunghe soste sur lie (sui lieviti). Ancora oggi, a Terlano, nelle annate migliori, alcune partite di vino vengono lavorate secondo il ‘metodo Stocker’: ovvero un’iniziale sosta in botti di rovere per un anno, quindi il travaso in piccoli fusti d’acciaio da 2.500 litri, ove rimangono - come fossero in un caveau - da 10 a 30 anni, avendo così tutto il tempo per sviluppare sui lieviti fini i loro aromi e la loro struttura complessa.
l contempo, data da quel perfetto bilanciamento fra durezze e morbidezze che gli consente anche una longevità che può superare, senza troppo affanno, i dieci anni.
Nel bicchiere il Vorberg Riserva si presenta di un bel colore giallo paglierino, tendente, con il passare del tempo, a un meraviglioso dorato. Ma è soprattutto la corrispondenza fra naso e bocca a stupire, anche per la fine pulizia dei dettagli aromatici e gustativi.
Così, al naso, i profumi si rincorrono dall’erbaceo (fieno) al floreale (camomilla) al minerale (pietra focaia), con una netta prevalenze di magnifiche note fruttate costruite sul melone e sulla pesca (nonché su alcuni spunti più tropical) oltre che sui più classici tocchi di pera e mela.
In bocca sono ancora la mineralità e l’acidità a fare da filo conduttore, ben in dialogo con il ‘corpo’ del vino, sostenuto da suadenti sensazioni di calore (la gradazione alcolica è pari a 14% vol.) e morbidezza.
È poi il finale a conquistare: sia per la pulizia e la lunga tensione della chiusura sia per il continuo ritorno a quei rimandi gusto-olfattivi percepiti al naso. Inutile dire che, benché già perfetto ora, il Vorberg 2018 non potrà che guadagnare da un ulteriore sosta in cantina. I profumi si approfondiranno. E l’integrazioni delle componenti del vino sarà ancora maggiore.
Prezzo:
0,00 IVA 22% incl.
gradazione: | 13, 5 |
tipo: | vino bianco |
cantina: | CANTINA DI TERLANO |
vitigno: | pinot bianco |
annata: | 2018 |
capacità: | 1.5 LT |
nazione: | Italia |
regione: | Trentino Aldo Adige |
provincia: | Bolzano |
luogo: | Terlano |
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